American Tabloid

Mi sono avventurato nel mondo di James Ellroy quest’estate, leggendo prima I miei luoghi oscuri per poi continuare con American Tabloid.

Non so se ero poco preparato alla lettura, ma trovarmi davanti un romanzo così dettagliato e ricco di personaggi mi ha spiazzato, e non sono rimasto del tutto soddisfatto.

Avevo già capito dopo il primo libro che Ellroy non è uno scrittore immediato e nemmeno facile da seguire, ma in certi casi questa sua caratteristica è portata al limite. Non è stato il massimo trovarsi davanti descrizioni interminabili, passaggi noiosi, ed elenchi di nomi a volte poco influenti sulla trama.

Si intuisce un lavoro maniacale, il problema è che questo zelo eccessivo (non saprei come altro definirlo) interferisce con lo scorrere degli eventi e con il piacere della lettura.

Il quadro è quello dell’America degli anni sessanta: mafia, CIA, FBI, Ku Klux Klan e la famiglia Kennedy. In questo panorama si muovono tre personaggi fondamentali: Kemper Boyd, Pete Bondurant e Ward Littel, caratterizzati veramente bene.

Ellroy sa scrivere, impossibile non notarlo. Peccato che io non riesca a trovare con il suo stile quel feeling necessario per poter continuare a leggere senza annoiarmi. Non so se consiglierei la lettura di American Tabloid, considerando soprattutto che è il primo romanzo di una trilogia. Se ne avete la possibilità provate a leggervi qualche capitolo in libreria prima di acquistarlo, altrimenti potreste restare delusi.

Adesso per me resta il dilemma: dargli un’altra possibilità con Sei pezzi da mille, il secondo romanzo della trilogia americana, oppure no?